Gli Strigoli

Tra le erbe mangerecce più famose e più gustose

Datavenerdì 27 marzo 2020

Silene vulgaris

Schioppetti, Bubbolini, Erba del cucco, Strigoli, Sonaglini, Orecchie di lepre, Silene rigonfia, Cavoli della comare, Spazzoli….

Appartiene alla famiglia delle cariofillacee, la stessa a cui appartiene anche il garofano. Infatti guadando i fusti e le foglie degli strigoli notiamo che si assomigliano: una delle caratteristiche della famiglia è l’ingrossamento lungo il fusto e livello dei nodi, dove si inseriscono , opposte, le foglie, ovali e intere, inoltre i fiori hanno un calice persistente, talvolta formato dai sepali completamente uniti (come negli strigoli) a formare una sorta di palloncino; il frutto è una capsula che contiene numerosi piccoli semi.

Il nome Silene ricorda Sileno, compagno di Bacco, dal ventre rigonfio proprio come il calice degli Strigoli.Come capita spesso i nomi volgari descrivono alcune delle caratteristiche salienti dell’erba: Strigoli indica lo stridio caratteristico che emettono le foglie quando strofinate tra le mani. Schioppetti si riferisce al tradizionale gioco di schiacciare velocemente il fiore sul dorso della mano o sulla fronte, per provocare appunto uno scoppio simile a un petardo. Sonaglini invece per il suono che fa il frutto una volta maturo, quando diviene una piccola capsula legnosa contenente numerosi piccoli semi e, scossi dalla brezza, grazie al fusto flessuoso, risuonano come piccoli sonagli ; mentre le sue foglie assomigliano alle Orecchie della lepre .

Si tratta di un’erba che scompare a fine autunno per poi dar luogo a nuovi germogli ad inizio primavera. Le foglie sono intere, lanceolate e leggermente pelose ai margini. I fusti si allungano fino a 50 cm e portano in cima un’infiorescenza a pannocchia recante i fiori. Questi sono tipicamente a palloncino ovoidale verde pallido o rosato biancastro, formato dai sepali uniti; i 5 petali sporgono leggermente dal calice rigonfio. L’impollinazione è ad opera di molti insetti tra cui api e farfalle notturne; ma a causa dell’ingresso così ristretto i grossi insetti preferiscono bucare il calice per raggiungere direttamente il nettare racchiuso al suo interno (questo è il motivo per cui molti fiori non emettono il tipico scoppio !)

Anche se si tratta di una pianta tendenzialmente ubiquitaria ho notato che ami principalmente campi, argini fluviali, margini di sentieri, siepi e bordure di strada, scoline, greti sassosi dei fiumi, base di muretti e rocce; evita i terreni acidi e ombrosi.

Una dei caratteri comuni nella famiglia delle cariofillacee è la presenza tra i principi attivi di Saponine, sostanze che come il sapone, abbassano la tensione superficiale in soluzioni acquose formando schiuma; le radici di Saponaria (Saponaria officinalis) al momento della fioritura ne sono talmente ricche (fino al 20%) da essere state tradizionalmente impiegate per fare un delicato sapone adatto al lavaggio della lana. Le saponine sono abbastanza distribuite in natura probabilmente come adattamento selettivo grazie alla protezione che esplicano nei confronti di attacchi di microrganismi e funghi. Le saponine sono pericolose se iniettate per via venosa perchè provocano emolisi, mentre lo sono molto meno se ingerite perché con la digestione sono disgregate; tuttavia è meglio non abusarne perché in gran quantità possono dare nausea, vomito e diarrea. Le troviamo ad esempio anche nell’edera, nell’ippocastano, nella liquerizia, nell’amaranto e nella quinoa. Se assunte nella giusta misura sono altresì curative: con proprietà mucolitica, espettorante, vasocostrittrice e cicatrizzante.

A mio parere gli strigoli sono nella “top ten” delle erbe più buone da magiare, tanto da essere un piatto tipico sia in Romagna che in Veneto. Si raccolgono i giovani getti fogliosi quando sono lunghi circa 5 cm e si puliscono tenendo la cimetta tenera e qualche fogliolina alla base; possiamo raccoglierli anche quando i fusti sono più alti (evitando che vadano a fiore perché in questo caso il tenore di saponine è maggiore), staccando le foglioline lungo il fusto. Il loro sapore dolce che ricorda vagamente quello dei piselli, con un delicato retrogusto più amaro. Data la consistenza delicata e il sapore dolciastro si possono cuocere direttamente in padella, aggiunte a un soffritto di cipolla o da sole, ottime nel ripieno di tortelloni, per fare ragù vegetali, frittate e erbazzoni. Preferisco cuocerle anche se si possono mangiare anche in insalata (le saponine tra l’altro sono degradate anche con la cottura). Unite ad erbe più amare ne attenuano il sapore conferendo dolcezza, ma preferisco decisamente mangiarle da sole per assaporare al massimo il loro piacevole gusto. L’unico problema è che , come capita spesso con le erbe selvatiche, una volta cotte il volume diminuisce di molto e quindi è importante farne una buona raccolta: ma non sentiamoci in colpa perché man mano che ne raccogliamo i getti, stimoliamo la crescita di nuovi getti prolungandone la stagione.

Se vogliamo coltivarla , dobbiamo raccogliere i semi in estate e seminarli a inizio primavera; si consiglia di fare una prima semina in semenzaio per poi diradare le piantine trapiantandole direttamente in campo.

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