Il salice

l'originale "aspirina" di sempre

Datasabato 21 marzo 2020

Oggi, portando il cane al fiume, incontro con il salice.

Sulla riva, tra i sassi che con le piene vengono scompigliati dall’irruenza dell’acqua , crescono i salici, gagliardi e incuranti dell’incertezza della vita su queste sponde instabili. Sono i giorni in cui iniziano ad aprirsi le gemme e a spuntare le prime timide foglioline, tenere , delicate e al tempo stesso forti e resistenti . I rami estremamente flessibili permettono al salice di vivere incontrastato in balia di piene improvvise: il salice si piega ma non si spezza!! ..e se poi, si spezza i rami saranno portati dalla corrente fino a dove , spiaggiati sul greto, velocemente potranno rimettere radici e dar vita a un nuovo individuo (geneticamente identico al salice da cui si sono staccati: questa è uno dei tanti privilegi delle nostre amiche piante !) . I suoi fiori sono essenziali, assomigliano a dei piumini, e sono separati su individui diversi. I salici infatti sono dioici, cioè hanno fiori maschili su individui maschili, e i femminili solo sugli individui appunto femminili.

Questo è il momento dell’anno in cui scorre maggiormente la linfa nello strato verde che sta proprio sotto la prima scorza dei rami. Ed è proprio lì che sono contenuti la maggior parte dei suoi principi attivi, tra cui almeno l’1% di salicilati. La corteccia va recisa staccandone dei pezzettini col coltello ed evitando di staccare tutta la corteccia che circonda il rametto, perché in questo modo non scorrerà più la linfa e il ramo muore. I pezzettini di corteccia con la parte verde vanno poi essiccati e usati in decotto (metterne un cucchiaio in mezzo litro d’acqua e fare sobbollire per 10 minuti, lasciare poi riposare per altri 10 minuti). In alternativa si può fare una tintura madre.

L’uso della corteccia di salice è antichissimo. Già Ippocrate nel 400 A.C. consigliava di masticarla per ridurre febbre e infiammazioni. Dioscoride nel primo secolo D.C. , e in seguito Dalechamp, Matthioli, Paracelso e altri suggeriscono il suo uso come emostatico, antipiretico, antielmintico, antinfiammatorio, per abbassare la febbre, come analgesico e antireumatico. La salicina è stata identificata solo nel 1829 da un farmacista francese ma solo nel 1838 l’acido salicilico è stato preparato puro qui, in Italia; successivamente la ricerca ha portato alla sintesi dell’acido acetilsalicilico da parte della Bayer, in Germania nel 1890 a cui fu dato il nome di Aspirina, ricordando l’erba Spirea ulmaria, che contiene un’elevata quantità di salicina. Come avviene nella maggior parte di estratti fitoterapici, anche in questo caso, se compariamo l’efficacia del farmaco di sintesi (in questo caso l’aspirina) rispetto ad un decotto di salice, risulta evidente che nell’estratto di sintesi è contenuto solo il principio attivo, appunto l’acido acetilsalicilico, mentre nella corteccia si trova il fitocomplesso, cioè quell’insieme di sostanze che agiscono interconnesse e interdipendenti rendendo l’effetto finale maggiore di quello che avremmo utilizzando solo un principio attivo o anche riunendo i singoli componenti in un preparato di sintesi; il fitocomplesso infatti limita gli effetti collaterali e potenzia e sostiene l’effetto della sostanza più attiva. Nel salice il fitocomplesso contiene: Glicosidi fenolici (salicina, p, alcol salicilico); Aldeidi; Acidi aromatici; Flavonoidi come l’isoquercitina e Tannini. Ci sono diverse specie di salici, e quelle che contengono una maggiore quantità di principi attivi sono Salix alba, S.purpurea e S.fragilis.

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